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Sindarusa (Solfanelli, 1997)
Solo sul ponte del Reymour, guardo il mare tranquillo, le coste visibili della terra. Tra poco, la nave approderà sulle coste inglesi. La mia colpa è imperdonabile. Ho odiato ciò che ignoravo, non mi sono affidato alla nuova rotta. Perché ho fatto di Sindarusa un simbolo di sventura, prima che la catastrofe avvenisse? Perché ho ucciso l’albatro che annunciava l’approdo imminente? Forse non volevo altro che questo: il ghiaccio che mi circonda, il ghiaccio che mura la nave. Non avrò una seconda occasione.
Scruto, dal ponte vuoto, le coste. È un’acqua bluastra e stagnante, dove non si rifletteranno le nubi. È il Mare delle Tenebre. E quella striscia di tetra laggiù non è la costa inglese, ma Labuza, dove ogni uomo smarrisce la ragione.
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