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Studi della paura (Genova, 1982)
Quando la città viene devastata dal vento furibondo e inspiegabile, quando i pali e le antenne sono piegati dalle sue raffiche senza suono, le porte delle case diventano così sottili che i prigionieri, forzandole, rivelano attraverso il legno le forme tese dei loro corpi. A volte capita di scambiare con vele lontane, brune nella luce lunare, ombre di uomini che tentano di fuggire. Nei gesti delle famiglie che raccolgono la valigia e si preparano a lasciare la città si coglie una straordinaria stanchezza, come se i loro movimenti fossero già velati dall’acqua.
Le campane della chiesa, lontane, oscillano senza mandare un suono.
Dominati da un pensiero sconosciuto, uomini soli percorrono delle vie che i loro corpi sembrano rendere tristemente marine; il cielo è azzurro come gli abissi nei mattini estivi.
Un uomo, camminando con elasticità sui marciapiedi di cemento, comincia ad abituarsi al pensiero della morte per acqua quando, sollevando la testa, vede sopra di lui le chiglie delle barche e i corpi che nuotano, mentre le stelle, velate dal mare, splendono lontane, irraggiungibili. Guarda a lungo, poi si trova, stordito, sulla terraferma. «Respira profondamente – sussurra un bambino – finché l’aria è intorno a noi».
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