A forma di nave
Quella nave subito diventi
roccia a forma di nave, in vista della costa!
E sian presi dal sacro stupore tutti quanti
gli uomini. E poi una montagna enorme li travolga
essi e la loro città.
Odissea, Canto XIII, versi 155-159
Stupefatti sul ponte
ossessionati dall’Isola
domani sarà ingoiata dall’immenso sasso
impossibile raccontare dei morti ai vivi
del magico
soffio del vento
annulla il fremito dell’acqua
il durissimo incantesimo
scafo di pietra mappa sparita
nave pesante sospesa
con vele che sono tele di metallo
scoglio l’albero maestro
gli uccelli vi muoiono volando
i pesci ci sbattono ciechi
**
E l’abisso inizia da questa nave
orfana del dormiente
traghettato dalle porte altissime
al bosco ventoso.
Fine del mare fra morenti e vivi.
Noi, grande pietra nera
a forma di nave
ancorata nell’acqua:
niente sangue nessuno
dice nulla
alberi immobili
svettano sul ponte
idoli.
**
Se al culmine del sonno
si capovolgesse il viaggio
la grande porta tornasse socchiusa
le fanciulle giocassero ancora
il corpo dell’eroe splendesse profumato
e ancora lunghe
fossero le lacrime del suo racconto
attendere la montagna che cancelli l’Isola?
sospendere il respiro?
**
Ma sarà mozzato comunque
e dopo, nel buio denso, le rocce per vele,
dove navigheremo?
Risponde la luce sotterranea dell’acqua,
il respiro senza fiato che ci modella le ossa,
il
nostro respiro.
**
Col remo spingo lontano le divise dei morti
(quanto mi accade
è un sogno nella testa di un altro
quando smetterà di sognare la sua mente?)
col remo, nel mare latteo,
respingo le uniformi degli annegati
mentre ogni rumore vivo sparisce
il fumo della guerra scompare
le bocche immobili nella barca
per la sete si screpolano piano.
**
L’arte della fuga le alte voci
sparite
la terra sollevata e chiara
l’incubo dei boschi
la forma dei rami.
Accade a chi guarda nel vuoto
di vedere l’acqua senza testimoni, nera,
la prua della nave assente,
fitta di fruscii come un bosco.
Accade di saltare la propria ombra
e non sprofondare più.
**
A forma di nave, la scia ci precede.
Pesci, pietre, colori sordi.
Ma arriverò, anche solo. Il centro segreto della mano
pulsa nella prossima roccia.
Quel lampo disseminato nelle onde,
infranto e lucente:
io.
**
Dopo,
soltanto dopo,
il remo a scuotere la paglia, il legno
affondato nell’erba, i tramonti senza mare,
invecchiando senza il ritmo dei flutti,
in pacifica terra ignota.
Della mia storia resta
lo strapiombo che fisso prima di dormire –
ultima luce degli occhi,
prossimo vento, fumo
del libro ulteriore.