Marco Ercolani
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Détour (Opuscola, 1985)

Andrea Mantegna, Martirio e trasporto del corpo decapitato di san Cristoforo, 1454

Il corpo gigantesco del Santo non c’è più, devastato e irriconoscibile. Ciò che avrebbe dovuto dominare l’affresco ed esserne il centro non esiste che come forma vuota. La sagoma rimane, ma il colore è sparito, così le forme del corpo e l’espressione del viso. La sottrazione, però, non mutila l’affresco, come la logica suggerisce, ma potrebbe coincidere, fatalmente e involontariamente, con l’intenzione segreta del pittore: spostare lo sguardo dalla rappresentazione sacra al dettaglio enigmatico, lasciandoci liberi di inventare altri spazi, storie, gesti, paesaggi, che contrastino il soggetto come richiami di confine. Il Sacro – il Centro – non esiste più. Esiste ciò che lo circonda: una misteriosa conversazione di forme: l’improbabile soffitto d’edera; l’occhio trafitto dalla freccia; l’uomo che l’ha scoccata e che sembra danzare o cantare; la testa affacciata, chiusa dalla curva di un ramo; il chiarore cristallino di palazzi lontani e suore lontanissime, coi bianchi copricapi a forma di veliero. In questo caso, il lavoro distruttivo del tempo è stato portatore di eresia.



Antonello da Messina Ecce homo, 1474

Incorniciato nel piccolo rettangolo del quadro, il viso ovale del Cristo ha la tradizionale corona di spine sul capo, il collo è circondato da una corda che evoca il cappio dei prigionieri – condannati, schiavi, animali. L’arco delle labbra si abbassa in una sorta di smorfia di indifferenza verso la fine imminente. Questo Cristo non è né umiliato né deriso, ma testimone di un dolore puro e indifferenziato la cui maschera si affaccia da una finestra e ci guarda senza sapere di essere guardato. Gli occhi, siderali, sono immuni da qualsiasi fisicità terrena. Lo sguardo nasce dall’abisso di un dolore estraneo a qualsiasi ragione e legge: è lo sguardo di chi si percepisce vittima di una Volontà ineluttabile.
Opposto alla rappresentazione di un Redentore troppo terreno o troppo spirituale, il Cristo di Antonello è remoto, tragico. Il reclinarsi del capo, l’arco della bocca, il viso sbiancato e livido e senza tracce di sangue, suggeriscono una Triste Indifferenza senza remissione.
Questo Cristo non si congeda mai da noi: cappio e occhi, continuano a legarci a uno strazio non umano. Non ci chiede nulla, e non risponde a nessuna domanda. «La lezione maggiore dell’infinito è / smettere d’essere, a volte, infinito». (Roberto Juarroz)



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