Marco Ercolani
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Paesaggio con viandanti (Joker, 2015)

Ci sono gesti insignificanti, piccoli, marginali, che da soli rinchiudono in sé il senso di una vita, il famoso senso della vita: l’Inutile, l’unica cosa al mondo utile davvero. Ineffabile, si rivela inaspettato, il più delle volte senza neanche rendersene conto. Accorgersi, puramente e semplicemente, rende poeti, (uomini) ancor prima di ogni commercio con l’espressione e la scrittura.
Non tanto una «foresta di segni», ma una foresta di senso. Inavvertita. Perché è sempre più facile vedere l’albero, non la foresta.

Siamo fatti di mancanze, di rimedi, e di repentino nuovo bisogno di mancanze. I migliori tra noi veleggiano tra tempeste e bonacce; incuranti, spaventati, sereni.

Nessuno sa che c’è un solo mare.

Scrivo perché il muro nero della scrittura diventi il bianco di ciò che non sono ancora stato.

Piove. Le gocce che cadono giù lungo il vetro lo fanno come versando latte ad Ananke nel tempio di Corinto. Ogni volta che sollevo lo sguardo dal foglio o dalla tastiera, mi dico: basta. Asciugo l’orlo del kernos. È vuoto.

Talvolta non scrivere rende sereni e permette di sognare. Ci si vede meglio al buio che nella luce delle parole. Tutto è molto più leggero e tacere sembra l’atto meno oltraggioso.

Sulla pagina, quello che non sono mai stato e quello che non sarò mai si incontrano, si guardano e si allontanano, senza dirsi una parola.
Non scrivere, non dire. Non fare. Il nulla andrebbe rivalutato.

Ma non è forse inevitabile narrare sempre la nostra ferita? Se siamo certi di questo, il nulla non è vago: è una scheggia del nostro specchio.

La certezza di non sapere, che da sola è già filosoficamente intrigante, entra nell’introspezione: la certezza di non sapere chi sono. Siamo più di quanto possiamo sapere. Forse abbiamo più vite – questo di solito inquieta... gli altri – ma certo abbiamo più vita di quanto la vita possa contenere. E questo causa – negli altri... – il dolore del distacco. (So cosa vuol dire; la morte nel cuore...). Ma ora la serenità.
Sto nel tempo, nello spazio. Guardo al tempo e allo spazio. La coscienza dell’essere (sulla lastra, trasparentissima del non-essere). La certezza di sapere. Che è solo questione di tempo, di spazio. Luoghi dell’aperto. Attimi che si dilatano. E traboccano la vita.

Vedersi allo specchio, padri del proprio riflesso. Tornare a sperare che non sia accaduto nulla.

Certe grida: la loro febbrile inesistenza.

Oltre la linea d’ombra c’è una linea d’ombra che arriva da una luce inconcepibile. Ora dobbiamo solo metterci in viaggio.

Di ritorno dal viaggio che non ho mai fatto, apro la porta, e esco.



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