Marco Ercolani
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Anime strane (Greco & Greco, 2006)

(Âmes inquiètes, tr. fr. di Sylvie Durbec, Éditions des états civils 2011)


Pesce
Fin dal primo giorno in cui ha letto vita e abitudini dei pesci, li ammira per la straordinaria prudenza con cui affrontano il nemico, per le tecniche sofisticate di difesa: si commuove alla notizia che le seppie intorbidano il mare con getti d’inchiostro, di modo che i predatori, storditi e macchiati, girino al largo. Dai pesci ha imparato il silenzio. La madre, quando lui compie dieci anni, comincia a preoccuparsi. Risalgono ad allora i primi colloqui psicologici. Ma lui, invece di parlare, muove appena le spalle e protende le labbra a muso. È considerato un «idiota sapiente». Internato e costretto ad assumere neurolettici, non si scompone. Trangugia i farmaci con grande calma e sa dentro di sé che non possono fargli né bene né male. I pesci sono insensibili alle terapie dell’uomo. Continua a ruotare le spalle, a protendere le labbra. Spesso scende da letto e nuota nel corridoio, pancia a terra; nuota nel buio, come se avesse le pinne, finché gli infermieri non lo notano e lo riportano nella sua stanza. Lui, obbediente, riprende la posizione eretta, barcolla un po’ e senza dire una parola si lascia rimettere a letto, a pancia in giù.


Tentativi di nuvola
Fa spesso i suoi «tentativi di nuvola», così li definisce. Si affaccia alla finestra, sollevandosi sulle punte dei piedi, allunga il collo, chiude gli occhi, poi, dolcemente, comincia ad oscillare la testa. Finché si dondola con tutto il corpo. Sua madre gli urla di tornare a studiare. Il patrigno si isola nella sua stanza. Il fratello sghignazza. Ma lui, ostinato, continua i suoi «tentativi di nuvola». Agli psicologi che lo interrogano sulla sua infanzia, risponde ridendo: «Io? Mai avuta infanzia. L`avranno quei due uomini e quella donna che mi perseguitano. Io no. Io sono leggero. Molto leggero».


Bocca di rosa
Tiene le spalle incassate. «L’aria mi pesa sul cranio, non riesco a scrollarla dalla testa! Mi annoio, dottore. A volte sento un fruscio sotto le spalle, che non capisco. Sto bene con il Risperdal, certo. Tranquillissimo. Lavoro in mensa al mattino, di pomeriggio porto a spasso Leòn (o è Leòn che porta a spasso me, mugolando e correndo?). Ma io, chi sono? Me lo dica. Un mese fa sentivo le voci, ora meno. Esistono davvero, sa. Una mi dice: stai fermo sui gradini. L’altra: il ponte suona se ci soffia il vento. L’altra: guarda che arriva lo tsunami. Si avvera tutto, dottore. Allora dovrò scegliere: sono matto e niente è vero, oppure non sono matto e tutto è vero. Ma, se tutto è vero, allora perché sto con mamma e papà e perché passo il tempo a fare ragù di carciofi e a ingoiare pillole? Devo andare su un monte a fare l’eremita, e basta.
Si ricorda il mio sogno? La cascata, immensa in mezzo alla chiesa. E io, con quei lacci addosso, come una corazza, portato via da due ragazzini. Cosa significa? E io, perché vengo da lei? Se ci pensa bene, Bocca di rosa non l’ha scritta De André. Lui è venuto a trovarmi, un giorno che ero bambino, e l’ho scritta io, la canzone. Come, non ricordo. Ma so che lui l’ha copiata da me. Sì, sento sempre quel solletico sotto le spalle. È vero che mi nasceranno le ali?


La ricerca dell’anima
Il prete arriva puntuale all’appuntamento con lo psichiatra. Gli si siede di fronte, non nascondendo un certo imbarazzo, poi comincia: «Con lei vorrei essere preciso, dottore. So che non era un cattivo ragazzo. So che faceva il pecoraio e non era troppo intelligente. Ma io lo vedevo spesso in chiesa e, da parroco, ne ero contento, considerata la scarsità dei fedeli. Ricordo il Natale scorso: se ne stava lì sulla panca, con i suoi capelli a spazzola, stretto fra padre e madre, e fissava intensamente l`affresco alle mie spalle, Il martirio di Santa Vittoria: raffigura un barbaro, di nome Decio, che, il 23 dicembre del 253 D.C., strappa il cuore dal petto della giovane santa. Lui ne era come ipnotizzato. Il giorno dopo mi chiese se potevo prestargli dei libri e gli risposi di sì, che venisse pure a trovarmi; sapevo che in casa aveva solo una vecchia enciclopedia Utet e dei dischi, tutti usati dai genitori. Poche ore dopo il nostro incontro, il padre venne da me e mi intimò di non dare più niente a quel disgraziato di suo figlio, che sapeva solo pascolare le pecore. Era con la moglie, un tipo rigido e triste «È la nostra sfortuna, padre - si lamentava lei - non combinerà mai niente di buono nella vita. E poi - lo sa? - non vuole avere neanche una nostra foto sul comodino!». Li invitai ad amare comunque quel figlio. Il padre mi gettò un`occhiata quasi di scherno, la madre mi voltò le spalle in silenzio: si vergognavano di lui. Uscirono dalla chiesa e io provai compassione sia per il ragazzo sia per quei due sventurati genitori.
Che adesso il figlio li abbia uccisi, e in quel modo clamoroso, è certo un crimine orrendo. Ma io non credo alle favole dei giornali, dottore. È solo un povero folle, sì: ma i folli, ricordiamolo, cercano spesso la verità. Se ha fatto una cosa così terribile - mi dicono abbia scorticato i corpi dei genitori e poi mangiato il loro cuore, non è vero? - avrà avuto un suo scopo, per il quale provare comunque pietà: forse voleva trovare, dentro di loro, un`anima».


Carezza
Vent’anni fa l’hanno trovata in crisi di overdose dentro una macchina, mentre biascicava delle mezze frasi come «sbirri fascisti» e «lotta comunista», e l’hanno sbattuta in carcere. Lì è rimasta tre mesi e sono cominciati i primi deliri persecutori. Ex militante politica, ex compagna di un brigatista, ex tossicodipendente, ex moglie di un contrabbandiere morto ubriaco sotto le ruote di un treno, ora, a quarantasette anni, dopo la rimozione della mammella, è più serena. Le metastasi ossee le impediscono quasi di camminare, ma viene in servizio psichiatrico da sola. Ha smesso di chiedere sigarette, di telefonare in continuazione, di abusare di farmaci, di spalancare le porte delle stanze interrompendo i colloqui. Adesso partecipa a gruppi di auto-aiuto. Riflette sulla sua vita senza lamentarsi più, ogni tanto si siede, incrocia le braccia, comincia pianissimo a cullarsi e si canta una nenia con un filo di voce. Le piace una canzone, Liquefacy, dice che il suo corpo si disperderà al suono di quelle note.
Una volta si avvicina a un medico chiedendogli una carezza. «Dammela sulla guancia destra» gli dice. Lui esegue. E lei, sorridendo: «La sinistra? La sinistra me la accarezzo da me».



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