« Un popolo povero di parole è un popolo povero e basta »
[C.D.]
Scrivere e curare: rendere dicibile.
La parola è la trasparenza dell’io all’esperienza dell’abisso.
Scritture – Marco Ercolani (art.blog)
Marco Ercolani (Genova, 1954), psichiatra e scrittore.
Il nodo arte/follia, la scrittura apocrifa e la poesia contemporanea sono le sue ossessioni dominanti.
Tutti i suoi libri sono conservati nella
Fondazione Mario Novaro, via Aurelio Saffi 9/11, Genova.
La poesia è quella zona imprevista e anomala del “percepire” la parola, dove la sillaba rigorosa e la vertigine dell’immagine si incontrano per sovvertire l’ordine del discorso.
La follia è questo lago interno che contiene la nostra specifica voce, annegata in mezzo alle altre, e finché non riesce a manifestarsi, a conquistarsi un senso come profezia, come Linguaggio espresso nella lingua del’uomo, non fa che esistere nei confini della norma trasgredita, definendosi come pazzia. Quando invece vive nell’imminenza di una forma nuova, allora è la nostra
vera voce, la parola antica che coincide con la parola futura, il cuore di tenebra che ci genera e ci devìa. La follia è questa eccessiva percezione della propria individualità, questa perentoria pronuncia che vuole farsi canto prima di recintarsi in linguaggio di conoscenza.
Ogni individuo vivo vede nuove macchie, nuove forme nel muro, le ammira, si ferma; inappagato, riprende a scavare, guarda altre forme, le descrive, si rintana, scava ancora. Non vuole né fuggire né restare. Ma trovare la sua strada, sì. Alla fine morrà, come tutti. Ma dopo aver lasciato la sua
crepa nel muro. La sua opera
non perfetta.