Chiara Daino
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La Merca LA MERCA
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Chiara Libre Estratto da Chiara Libre
26 Novembre 2007 20:16:30









Abbiamo detto tutto. Il giorno in cui ho avuto l’età che tu hai oggi – ho scritto: “se tutto è stato scritto, tutto è in tutto”. Parlavo di Amelia Rosselli, de lonh, e di quello che è ancora possibile fare. Tu conosci gli ultimi ottocento anni di quelli che Busi chiama i 3 Sud. Tu continui la loro Tradizione? O la devasti? Sai già quello che penso. Ma vorrei sentirtelo dire.


Io chioserei: «tutto è in tutto, non in tutti. Non per tutti». La Tradizione è il patrimonio genetico che influenza e determina alcuni fattori [modelli, influenze et cetera] – l’individuo può ancora [e sempre si può] originare nel momento in cui si rende filtro: il carisma e il particolare, l’intimo – del soggetto che non si assoggetta [a schemi e sistemi] è la chiave di rivolta – per rilegare bene.L’unico intento della mia pagina è provocare: l’anfibio sfida per appiccare, senza darsi mai preda. Viviamo per codici imposti: si etichetta e si mappa, si cataloga – si avverte il bisogno endemico di ridurre in categorie. E così: l’aut-aut impera, esclusivo, per escludere. Io amo la forma – e la vita – ibrida. Il rifiuto di ogni vincolo [o sei attrice o sei scrittrice, performativo o installativo, corso femminista o scrittura virile,…] e di ogni schieramento [dal macro al micro] mi rende aliena: l’alienata dal giro. Da ogni girone. E dal Gotha falsamente organizzato e suddiviso.


Ho l’ossessione del riconoscimento (delle forme). La Merca appare pubblicamente in prosa. Apparentemente, in italiano. Presumibilmente, come trascrizione di un dramma, in tutti i sensi. E La Merca – è stata capìta? Le sue letture sono state almeno oneste? O no? E sbaglio, se dico che non è un romanzo, non è in italiano e non è la vita di tutti?

Per François Mauriac «ogni dramma inventato riflette un dramma che non s’inventa» e la Merca è come prende forma un dramma. Come questa “forma” sia percepita dal pubblico dipende da quale pubblico legge e percepisce. Sia quel che suoni a livello stilistico – ogni mio scritto [e ogni mio atto] mi assomiglia. Credo sia questa la mia vera onestà intellettuale. E ancora: il messaggio – e non mi stupisco – è stato colto e compreso da chi vive, più che da chi scrive. E le mani assassine rimangono fisse alle dispute “culturali” – non alzano gli occhi e non si guardano allo specchio. È un lusso che certi tuoi colleghi [io non parlo il loro italiano, loro sputtanano la mia non-lingua] non possono permettersi. Purtroppo riesco ancora a decifrare – i loro discorsi e le loro lettere.


Il nostro lavoro non è considerato tale: dunque non abbiamo colleghi (e nemmeno una lingua). Tra il TESORO e il TERRORISMO (delle forme, con le forme): qual è il senso di una letteratura (tua) che tocca la canzone – pur di evitare la poesia-poesia? Qual è il senso di un romanzo che sfiora la poesia – pur di evitare il naturalismo? Tu «macelli bene» le forme, per la loro rovina. Questa rovina ti è necessaria? O è necessaria a qualcosa che deve storicamente finire? Della Contemporanea Italiana Letteratura non si vive, perché non vive; perché non ha autori (etimologicamente: accrescitori della sua durata; degli autori si accresce solo il numero). Tu credi a questa fine? O credi che «la letteratura è morta» sia solo un aforisma liturgico? Qualcosa cresce?

Io sono nata il 5 marzo 1981 e prima di performare [nella pagina, sul palco] la vita – io vivo, a modo mio, il mio tempo. Gli anni della scuola sono stati all’insegna di Machiavelli e Montale, ma sono stati segnati dai Metallica e dai Megadeath. L’affronto è accostare Metrica e Metal: nel 2007 è ancora un’eresia, un gioco. E quanto hanno influito le Letture Accademiche, tanto le Colonne Sonore, confluendo nella mia mista – come oggi [mi] si legge. La morte della Contemporanea Italiana Letteratura è il punto di scontro, appelli, dichiarazioni, proposte,… il dibattito che è trastullo per le tavole rotonde dell’intellighenzia. Il triste vero [e traduco e riproduco accordi da loro esclusi] è: più che salvare la Letteratura, vogliono salvare la faccia. E non si dica: il Circolo preferisce friggere l’aria, concupire, trattare questioni di letto [inter eos], anziché capire [non è difficile] perché i cantanti riempiano gli stadi. Le riunioni di pennivendoli, pennuti e pose penose in pagine patinate, sembrano cenoni natalizi. Tutti mangiano tutti. E non accrescono altro che la loro massa grassa [quanto piacere nel ritagliarli a sette]. E gli inviti – che rifiuto – sono splendido esempio dell’abuso allegorico: si parla sempre di altro. Elogio dell’incoerenza: «perché Chiara non è mai chiara?» – mi accusano. Perché Chiara se ne fotte. E non si fa fottere dai figuri retorici. E se nessuno mi capisce? E se nessuno riesce a fermarmi – in tempo, te lo scrivo tra qualche anno, come finisce. La Storia.


Per Barthes il linguaggio è un’istituzione fascista (e io aggiungo: maschile). Ma in te: la presenza (irritata, irritante), la scrittura (irritata e irritante), e la volontà (irritata e irritante) aggrediscono il maschio. Un rostro alto marchierà il fallo basso? Al maschio – vuoi togliere potere o parola? E poi: che cosa può dire un maschio, per diventare UN UOMO?


Io posso [e voglio] essere irritante per ogni genere: maschile, femminile, neutro. Io sono irritata in generale. E rilancio: irritabile e irosa. Lo ammetto e me ne manto: non considero Persona chi esulta, si esalta solo per la materia sessuale, variamente mistificata. Esistono parole come: tempi, luoghi, opportuni. Forse qualcuno riuscirà a comporre la frase di senso compiuto che intendo e pretendo…Rispetto alcuni uomini e alcune donne. Le mie amicizie, le mie relazioni non dovrebbero pregiudicare il mio valore artistico. Non è così: la quaestio del chi scopo/quando lo scopo/perché non lo scopo – vanta numerosi filologi nella Repubblica delle Lettere [i soliti ignavi. E proprio perché i soliti – le voci di lavandaia giungono anche alle mie orecchie sature]. La mia Lettera è sempre chiusa e scarlatta: A. Adultera? A: Anatema. Contro. Voi che negate, sempre. E il malore – come il malumore, aumenta. Meglio un sincero: «per me non vali. Non capisco cosa scrivi. Tu non sei.» – dei finti elogi, fragili pretesti per un incontro ravvicinato [di dubbia natura], con una tipa. Strana la Daino, vero? E non mi spiego: l’anomalia del sistema [io] NON è considerata, non è intelletta, non è. Si spiegano: è carne fresca da magnificare. E dimostrarsi: giovani in saecula saecolorum, paupulare, millantare,… Se questi sono Umanisti, io sono felice.Al maschio vorrei togliere la patina patetica ipocrita, a quello che tentenna parole [Chiamarlo poeta mi Stomaca – ma le maiuscole sono senhal], mi insulta in pubblico blog e alla prima riunione si sbottona: “io con la Daino ci farei sadomaso”; a quell’altro che lamentucola “perché a lui si è data e a me no?”. E ancora: “di’ alla Daino di non scrivere più per quel sito” e messaggi trasversali sul mio essere callipigia e frasi riportate e insulti alla mia perspicacia. L’elenco continua. E la nausea cresce. Alla femmina vorrei togliere l’invidia, lo sciacquare i panni nel rosa, l’autocastrazione in ginecei semantici e fisici. Remissive che devono sbandierare le ciglia per avvalorare l’opera. E l’unico elemento che si toglie – è la mia stima per la mandria nel recinto di paura.


La tua presenza scenica, vocale e fisica è forte. La tua scrittura, la tua metrica e la merca del tuo testo rispecchiano questa presenza? O no? La frase lasciatemi divertire è diventata tua, da tempo. La tua presenza è un gioco? Ma c’è gioco e gioco: in alcuni ci si diverte, da soli o in gruppo, in altri si gareggia. A nessuno piace perdere – comunque. Parla del tuo Gioco: quale, come, quando, contro (o per). E non dirmi che non vuoi vincere.


E chi lo dice a Palazzeschi? Lasciatemi divertire è un prestito che posso permettermi proprio perché – il mio gioco è considerato un gioco. Al di là delle considerazioni linguistiche [“to play”, “jouer”,… e delle relative valenze semantiche] – io mi diverto: non mi prendono sul serio. Con gli occhi aperti, gli occhi ancor di latte – per Pascoli e per me: fari sul vero, sempre contro il “così è. Perché sì, perché funziona così”. E nessuno lo ammette: tutti giocano. Solo: io sono estranea a certi ludi da lupanare – siano di potere e/o sessuali. Io mi prendo la libertà. Io mi prendo gioco. Ho scritto: con la vittoria nulla, il niente a perdere. Io trionfo – sempre. E sai perché? Io non ho giudici di gara in questo mondo. La Dama – è un gioco del fato.




domande di Massimo Sannelli, risposte di Chiara Daino

[Genova, novembre 2007, con ironia e in attesa – come si dice ancora – di «tempi migliori»: Italia mia, benché il parlar sia indarno – o forse no, M.S.]

[E buone illazioni! C.D.]

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