CORPI DI CARTA CHIARA |
17 Dicembre 2020 - *Sogno di una notte di mezzo inverno* *Sogno di una notte di mezzo inverno* Nei giorni in cui l’ombre s’allargan sul mondo un vecchio destriero conduce sul fondo del grigio deserto a una torre d’argento che pare un miraggio al nostro scontento. E chi lo cavalca è segnato da guerre, e viaggia da tanto su tutte le terre, ha più cicatrici che in testa capelli, e stanco ecco arriva ai remoti cancelli. Che s’apron e’l destriero accede al cortile, nessun paggio reca un acquamanile, né guardie sorveglian le porte e le mura e solo il silenzio è d’attorno che dura. Poi schiudesi infine un portale borchiato, e un vago sentore di fer s’è levato nell’aere d’assieme a un suon di stivali, ch’echeggia dei passi da ripidi scali. E appare di cuoio e metallo borchiata, Titania regina dai poeti sognata: creduta leggenda o sogno insperato appare reale all’uomo arrivato. E sopra il suo capo ella regge corona, bracciali di cuoio metallico sona, e gli occhi profondi di bistro marcati son pozzi di stelle e scintilli argentati. «FermateVi amico e a me ’l Vostro dite, Vi vedo coperto di troppe ferite. Mia cura prometto sarà di recare sollievo e del balsamo al Vostro penare». E poi lo conduce su per il portale, facendogli guida su per l’ampie scale, e fino a una stanza con ampio giaciglio velata la luce da fronde di tiglio. Lui toglie la cotta e l’armi squassate, e sotto la maglia ecco son rivelate le mille ferite da tutte le guerre patite lontano per tutte le terre. Titania recupera bende ed unguenti, e vino e dell’olio ed entro i battenti dell’ombrosa stanza deterge e poi cura: del lungo vagar le ferite depura. «Riposa» ora dice all’ospite stanco «e con il mio canto il cuore rinfranco»: poi modula un canto in ritmata poiesi tal da sollevare gl’interni suoi pesi. E l’uomo s’addorme e la palpebra chiude: e il sonno recato gli affanni gli esclude. E quando riprende dei sensi l’avviso, accanto di lei si trova il bel viso. Sta sulla ferita, le labbra pigiate, attinge il suo sangue a lente sorsate: solleva lo sguardo profondo, febbrile, ricambia l’occhiata dell’uomo gentile. «Trisava po’ esserti, son giovane sempre, metalli mi recano le mie verdi tempre, e ’l ferro del sangue che tu mi ha donato è bene gradito, è dono accettato. A te lascio scegliere, mio cavaliero, se a me vuoi donare il tuo succo nero: le labbra gentili non recano oltraggio e della tua carne non fanno l’assaggio. Reclino sul letto l’uomo la fissa, fulgente l’abbraccia una tal basilissa: «Titania regina, tu chieder non devi. Se vita so darti, son qui: per cui bevi!» [Franco Pezzini per Dama Daino] Metalli Commedia può essere acquistata su AMAZON in formato cartaceo o Kindle. |