CORPI DI CARTA CHIARA |
1 Maggio 2015 - DELLA MORTE DEL LAVORO Se questa particolare specie di romanzo epistolare[1] tratta il tema della solitudine, non la intende certo come lo stare da soli (pur descrivendo anche – e inevitabilmente – questa condizione) e non è metafora di una qualche forma di ricerca dell’io. È semplicemente un calcio ben assestato per far spalancare gli occhi sulla realtà alla quale ci si dovrebbe abbandonare, ossia (parafrasando/comparando) l’essere solo noi stessi [“Siamo solo noi” – Vasco Rossi – “SIAMO SOLI” – Chiara Daino]: del resto, uno dei primi elementi in cui c’imbattiamo nella lettura è un toast. E per essere noi stessi non bisogna soltanto sapersi esprimere. Bisogna avere, più di tutto, il coraggio di volersi realmente esprimere. In questo libro ci si esprime attraverso la scrittura e la scrittura è la natura stessa dell’essere. Niente storia e niente trama (forse – ma poco importa davvero): Gabry, Zaìra, Meth, il recidivo e Ninetto ci sono solo per sviluppare le relazioni delineate e forgiate (a seconda dei momenti – che possono essere così delicati da apparire addirittura ingenui quanto tanto feroci da farti sentire colpito in pieno stomaco) dalla “penna psichica” di Chiara Daino. La “POSSESSIONE EUFONICA” che si impadronisce di questa penna rende la scrittura irrequieta e vibrante perché è in costante divenire – e quindi viva. Pura musica per gli occhi, capace di trasformarsi anche in melodia per le orecchie (a patto che si abbia una buona dizione e una voce quantomeno gradevole). Questa scrittura rappresenta la vita, dunque, ma non la racconta. E proprio perché è essa stessa l’essere che la sta vivendo. Gli incroci di solitudini che dialogano nei due capitoli più corposi del romanzo, sono chiamati – giocoforza – a interagire con un ampio spettro (frammentario e altalenante – così come accade nell’arco dell’esistenza umana) di emozioni. E una scrittura che si fa carne, per esprimere tali sensazioni che connotano i più disparati momenti della vita (amore, sesso, rabbia, odio, tristezza, innocenza e via dicendo), non ha altro modo per farlo se non quello di apparire EGOCENTRICA E PROVOCATORIA. Ma la realtà è altra: anche ammesso (e non concesso), infatti, ci si trovi di fronte a egocentrismo e provocazione, tali atteggiamenti non devono essere intesi in modo negativo. Perché questa scrittura è un essere che non ha bisogno di comprendersi e accettarsi, ma un essere che reclama ed esige con forza rispetto. Rispetto per l’altro essere: perché le solitudini possono stabilire una sana relazione sociale solo rispettandosi – con la speranza di giungere poi anche a comprendersi reciprocamente. I soli del romanzo, pertanto, non devono cercare sé stessi, oppure capire perché sono soli: devono uscire allo scoperto per dire chi sono e accettare l’altro. E non bisogna neanche lasciarsi abbindolare dal richiamo decadente di quel “morirò a Parigi” (tra parentesi quadre) del titolo, perché leggere “Siamo soli” è come seguire il percorso di un’entusiasmante (quanto pericoloso – all’interno del carrello-carrozza non si è proprio al sicuro) ottovolante: una pagina potrebbe essere capace di svuotarti e quella immediatamente successiva di riempirti oltre ogni limite tu possa contenere – e senza soluzione di continuità (con l’unico punto di chiusura/uscita, rappresentato concretamente – e per ovvie ragioni – dalla morte). NOTA A MARGINE Chi scrive è consapevole di correre il rischio di coprirsi di ridicolo, ma è altrettanto conscio di esprimere un’opinione non dettata da sensazioni fasulle. [1] I capitoli I, IV e V sono allo stesso tempo pagine di diario e lettere [cartacee] indirizzate al lettore; il capitolo II è un rincorrersi danzante di e-mail che segue un ritmo scandito da repentini cambi di stati d’animo; il capitolo III mescola appunti di un ipotetico romanzo da scrivere (o già scritto) e frammenti di stampo quasi diaristico, ma i protagonisti sono entrambi degli scrittori e ciò comporta che la natura del testo assuma la caratteristica di una sorta di scambio di messaggi (Zaìra scrive ovunque e su qualunque superficie: persino su una busta del latte). Lettura critica di Giuseppe Vuolo per Siamo Soli [morirò a Parigi], Zona Editrice, 2013. |