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30 Agosto 2015 - NOVE FRAMMENTI PER LA MERCA
1. La Merca è il bildungsroman rovesciato di Jenny l’anoressica (nome che richiama, alla memoria, la celebre canzone brechtiana “Jenny dei pirati”, in L’opera da tre soldi, reinterpretata in chiave rivoluzionaria anche dalla jazz singer Nina Simone).
2. La Merca di Chiara Daino-Jenny è la “lettera scarlatta” di un marchio che non può essere rimosso: la Merca-marchio è l’irriducibilità al mondo che normalizza e rende la vita invivibile perché a/normale. Il marchio è la cicatrice da scontare, e per la quale pagare il prezzo della propria libertà.
3. Quando sarà legittimo guarire? Quando guarire non avrà lo stesso significato di essere asserviti. Jenny è protagonista assoluta del suo dolore. Prendersi “cura” di lei è prendersi cura della sua libertà (e della nostra, di lettori). Forse Hawthorne (La lettera scarlatta) e Melville (Bartleby lo scrivano) ci hanno parlato di queste irriducibili libertà che hanno, come sfondo, una disperazione vitale accettata con estremo coraggio, fino al paradosso della gaiezza.
4. Jenny è affetta da D.C.A. (disturbo del comportamento alimentare), non da D.C.V. (disturbo del comportamento vitale). Lei vuole vivere, anche se insegue la volontà, giudicata folle, di non introiettare un mondo che potrebbe deturparla con i suoi codici da EEG piatto. Preferisce, fra sé e quel mondo, erigere il muro della sua invettiva. Metterlo in scacco. Dama vuole dare Scacco Matto al Mondo che non ha amore né per sé né per lei. “Ma è il mondo stesso a soffrire come un disturbo l’esistenza di Jenny: e la malattia di Jenny, se è tale, è solo questo mondo” (Massimo Sannelli).
5. Jenny l’assoluta “preferisce di no”, come il Bartleby melvilliano. Si oppone alle soluzioni facili del melodramma: cerca il “nodo rintrecciato” e non facilmente districabile della Cenerentola rossiniana, in cui il caos degli eventi e delle emozioni determina la logica del discorso e non ne è determinato. Rivendica l’anoressia come abissale “metodo” di libertà e di innocenza contro la sazietà corrotta imposta dal mondo degli altri.
6. Quando Jacob von Gunthen, nel romanzo omonimo di Robert Walser, entra nell’Istituto Benjamenta, ha un solo intento: diventare uno “zero” assoluto. Lo zero non si fa inghiottire dalle regole dell’educazione e della guarigione, non segue la logica dei numeri. Lo zero sfugge alla matematica come alla terapia. Sua vera utopia è la bellezza come “sublime”, la bellezza come pericolo e attentato.
7. Ci sono scrittori che, come Chiara Daino, possono farci vedere “oltre”. Non sono il Virgilio che ci accompagna in un viaggio da cui torneremo appagati e ricchi di sapere come un Dante o come un Freud: ci presentano il nostro deserto e, come Thomas Bernhard, ci invitano a guardarlo senza mai chiudere gli occhi. Ma il modus moriendi di Jenny ha, come suo doppio, un frenetico furor vivendi che si nutre soltanto di vita, un “precipitato di vita” scagliato come proiettile nel campo visivo e acustico del lettore, e che produce il poliritmo forsennato della narrazione.
8. “Lei, lei che era malata, da sempre, per sempre, nella malattia era lucida. Le malattie, specialmente le lunghe malattie, sono anni di apprendistato dell’arte della vita e della formazione dello spirito. Frammento di Novalis per una donna frammentata”. Quale scrittore, oggi, oserebbe citare il complesso (e mai troppo conosciuto) Novalis per rafforzare il personaggio di Jenny “anti-eroe, anti-dipendenza, anti-compromesso, anti-corpo, e molto, molto anti-patica”? Daino reclama, per se stessa, l’energia di una comicità disperata e irriverente, in perenne lotta contro ogni sentimento che sia “finzione” sociale e non, come deve essere, forza propulsiva di amore assoluto (e quindi devastante). Il “personaggio-Dama”, utilizzato da Chiara Daino come maschera nelle relazioni virtuali/reali col mondo, è anche una mina innescata, un combustibile “etico” che non si accontenta di verità consolatorie o prefabbricate. Così Novalis non è stato solo il poeta preromantico ucciso dalla tisi a 29 anni, ma fu ingegnere, chimico, filosofo, naturalista, matematico, secondo una concezione “rinascimentale” non estranea all’autrice de La Merca.
9. “Io amo la forma del libro. Credo che il libro migliore, il più bello, sia quello che ti fa uscire dal mondo in cui vegeti fisicamente per farti vivere e respirare nel mondo che lui solo sprigiona. Ogni libro mi interessa se è un universo nuovo che mette questo fra parentesi (e per il tempo della lettura lo polverizza, letteralmente)”. Queste parole, scritte come in trance da Robert Walser, vorrei che guidassero verso La Merca, il libro di Chiara Daino (Fara 2006, 2 ediz. 2012) che vi sconsigliamo di leggere a meno che per voi la lettura non sia, come è per me, da sempre, per sempre, un’esperienza assoluta e perturbante. “Questa è la generazione di Jenny. Meditate, genitori, meditate”.
Marco Ercolani
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