Chiara Daino
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Damascena Estratto da Damascena
30 Luglio 2007 08:30:28

Genealogia di Heathcliff
Fu nell’estate del 1775 – si era all’inizio della mietitura – a Wuthering Heights che i loro destini si incrociarono.
Caterina è una piccola selvaggia dispettosa di sei anni, che mette a dura prova la pazienza di tutta la famiglia.
Il padre di Caterina, il signor Earnshaw, padrone di Wuthering Heights, è l’ultimo discendente di un’antichissima famiglia dello Yorkshire.
Wuthering Heights, cioè “Cime tempestose”, è il nome della residenza degli Earnshaw. Sopra la porta principale della casa, fra uno scialo di putti e di grifoni, c’è inscritta una data, “1500”, e il nome di colui che la fece erigere, “Hareton Earnshaw”.
A abitare Wuthering Heights non sono in molti. Tutta la servitù dei signori Earnshaw sono il pio, rancoroso Giuseppe e Nelly, l’adolescente figlia della balia di Hindley, il fratello di Caterina, il primogenito. Una compagnia ristretta, lontana dal frastuono della società, raccolta nelle sue rare ore d’ozio in un vestibolo non grande, anzi un po’ angusto, dove oltre alla tavola spiccano i fucili arrugginiti e le pistole appese sopra al camino.
E’ in quell’ambiente aspro e solitario che accade l’imprevedibile. Nessuno, tranne il suo artefice, ha l’aria di accettarne di buon grado l’inevitabilità.
Un bambino abbastanza grande da poter camminare, dall’aspetto di zingaro, proveniente chissà da dove, esce fuori dal cappotto avvoltolato fra le braccia del signor Earnshaw, di ritorno da un viaggio d’affari. Il signor Earnshaw l’aveva incontrato e raccolto in una strada di Liverpool, e dopo aver inutilmente chiesto in giro a chi appartenesse, se lo era portato a casa, indocile fardello abbarbicato al suo futuro.
Per i famigliari quel bambinello è un intruso: le lamentele della signora Earnshaw esprimono, in fondo, lo stesso imbronciato malcontento dei servi e dei bambini. Ma il signor Earnshaw, morto di stanchezza, irremovibile nella sua intenzione, ha disegni segreti e incomunicabili, e non intende dare ascolto alle obiezioni della moglie.
A quell’ora tarda, sono già passate le dieci, c’è poco da discutere. I tre bambini, frementi all’idea di un regalo da Liverpool, sono delusi come di fronte a un tegame con in vista, ormai, solo le briciole del dolce. Osservano saltar fuori da un cappotto un lacero diavoletto sporco che balbetta qualcosa in una strana lingua incomprensibile e pensano al violino, alla frusta, alle mele e alle pere, a tutto quanto si erano aspettati di ricevere e non vedono.
Due occhi neri e luminosi, un faccino lungo lungo dai tratti irregolari, un cespuglio di ricci scuri lunghi fino alle spalle, e un cipiglio fiero, quasi insolente nel quieto sguardo fisso su ciò che lo circonda… Da subito, quell’essere sembra appartenere a un altro mondo e stona nel consesso famigliare come una civetta fra i cani, i gatti e i cavalli di una masseria.
Ancora la signora Earnshaw sbraitava con le sue domande:
Come hai potuto portare a casa nostra quel figlio di zingari? Non abbiamo già i nostri marmocchi da nutrire e da allevare? Che cosa intendi farne? Ti ha dato di volta il cervello?
Quanto ha strillato la donna. Il signor Earnshaw ha lasciato che si sfogasse ridendo e lamentandosi nello stesso tempo. Entra lo zingaro-nero che non sa dire neanche una parola e il padrone di casa, discendente di un’antica casata e padre felice di due giovani rampolli, non trova di meglio che sorridere al nuovo venuto, come fosse un dono di Dio.
“Non potevo lasciarlo dove e come l’ho trovato”, ha detto il signor Earnshaw. “Basta, adesso. Nelly, lava il bambino. Fagli indossare cose pulite e mettilo a dormire con gli altri!”.
Intanto, Hindley e Caterina si erano messi a frugare nelle tasche del signor Hearnshaw in cerca dei regali promessi – non ricavandone che lacrime: Hindley alla vista del violino tutto frantumato, e Caterina per lo scapaccione del padre, poiché, appreso che questi aveva smarrito la sua frusta per occuparsi di quello sconosciuto, la bambina non si era trattenuta dal fare le boccacce e addirittura, a un certo punto, dallo sputare in direzione dell’ignaro trovatello.
Così, dunque, avvenne l’ingresso di Heathcliff in famiglia.
Gli danno un nome. Lo battezzano Heatchcliff, con il nome di un figlio morto poco dopo la nascita. Perché lo hanno chiamato così? Cosa significa quel nome? Non sarà, lo zingaro, il frutto di un amore non legittimo del signor Earnshaw? E già Hindley lo odia. In lui vede un rivale nella lotta per l’affetto e per gli averi del padre, un estraneo da tormentare senza tregua, senza pietà.
Il povero orfanello, come soleva chiamarlo il vecchio Earnshaw, sopporta le percosse di Hindley senza batter ciglio.
Alla morte della signora Earnshaw, sa perfettamente quale potere ha sul cuore del suo benefattore ed è consapevole anche del fatto che gli basta aprire bocca perché tutta la casa si inchini ai suoi desideri.
Durante una disputa con Hindley sul possesso di un puledro: Devi scambiare il tuo cavallo col mio. Il mio non mi piace più e, se non vuoi, dirò a tuo padre delle tre scudisciate che mi hai dato questa settimana e gli mostrerò il braccio che è livido fino alla spalla. Gli racconterò di come ti sei vantato che, appena lui morirà, mi metterai alla porta e allora vedremo se non verrai tu stesso scacciato subito.
Tanta risolutezza non resta senza effetto. La faccia di Hindley avvampa di collera e le parole gli tremano sulle labbra. In Heathcliff, il giovane Earnshaw individua ormai l’usurpatore dei propri privilegi. E forse, senza neanche accorgersene, qualcosa di più inaccettabile. Qualcosa come la sua stessa ombra, probabilmente, la parte di sé che nessuno, in fondo, ambisce a riconoscere.
“Prenditi il mio puledro, zingaro”, urla infuriato. “Prenditelo, e sii maledetto. Spoglia mio padre di tutti i suoi averi, ma aspetta a fargli vedere quello che sei, figlio di Satana!”
E poi con un colpo brutale lo manda a ruzzolare sotto agli zoccoli del cavallo, prima di darsi rapidamente alla fuga.
Diavolo d’un Heathcliff! Sembrava così spesso un bambino triste e paziente. Indurito, si direbbe, dai cattivi trattamenti. Intanto, risollevatosi, il ragazzo continua nel suo intento, con freddezza. Cambia le selle al puledro, lo slega e lo fa passare nel suo stallo, siede su un mucchio di fieno per vincere lo stordimento provocato dal colpo, e rientra in casa.
Infine, lascerà credere che tutti i suoi lividi siano dovuti al cavallo, poiché a dirla tutta non gli importa niente di quello che si dice intorno a lui, una volta che ha soddisfatto il suo desiderio.
Così Hindley ha riconosciuto Heathcliff, che si è riconosciuto nel suo illimitato volere. Ma per riconoscersi a sua volta nell’indole cattiva e rancorosa di Hindley, Heathcliff dovrebbe riuscire a blandire il proprio orgoglio viziato. Comunque, c’è una che ha riconosciuto Heathcliff da tempo, e che, dopo lo sputo della prima sera, non gli ha mai fatto subire dei torti. E’ Caterina.
Sì, Caterina ha riconosciuto se stessa in Heathcliff, o meglio, per quanto, adesso, le consente la sua immatura coscienza, ha intravisto i propri tratti nello specchio di Heathcliff: un fanciullo intelligente, un compagno di giochi e di merende, e, nello stesso tempo, un inavvicinabile straniero, e per di più uno spirito libero e selvaggio.
Davvero, è una gioia continua ritrovarselo al fianco ogni mattina in quella grigia, fredda casa buttata lì chissà perché sulla brughiera a tentare di resistere a solitudine e tempeste. E la gioia aumenta quando lei sente il vecchio padre zittire l’urlo lamentoso del vento nella gola del camino con parole del genere:
“Non temere, Heathcliff, per le malefatte di tuo fratello, quel buono a nulla di Hindley. Finché avrò vita, mi prenderò cura di te. E poi, non ho alcun dubbio sulle tue qualità, e sulla tua capacità, con gli anni, di rendere ancora più prospera Wuthering Heights”.
Con l’andare del tempo, le forze incominciarono ad abbandonare il signor Earnshaw, ed egli, sempre più dolorosamente irascibile, precipitava in parossismi di furore per qualsiasi trasgressione alla sua autorità.
Quando qualcuno cercava di ingannare o di opprimere il suo prediletto, il vecchio andava su tutte le furie. Soffriva per il solo timore che fosse oggetto di qualche mala parola da parte dei suoi due figli, e non era affatto raro che afferrasse il bastone per darlo sulle spalle di Hindley e che, non riuscendovi, restasse lì, impotente, con quel grosso coso inutile in mano, come uno spaventapasseri o una strega tremante per la rabbia.
La sera, il signor Earnshaw subiva ormai passivamente i sermoni del domestico Giuseppe, spietato nel tormentarlo circa il rigore con cui dovevano essere allevati i figlioli:
“Non posso certo meravigliarmi della Vostra contrarietà. Questi ragazzi, sembrano essere venuti apposta al mondo per inquietare un uomo ragionevole come Voi”.
Frasi come queste, un tempo avrebbero ferito il signor Earnshaw, ma adesso, nel deperimento generale delle sue facoltà, riuscivano a fare una grossa impressione su di lui.
“Purtroppo, devo darti ragione, caro Giuseppe. Quando si dà la vita a un figlio, si reputa che non ci sarà miglior figlio, nessun ragazzo migliore del proprio, nessun erede più meritevole. Ma la realtà è diversa, e ci sorprende sempre in peggio, e spesso, anzi, addirittura ci umilia”.
“Gli uomini saggi non devono attendersi nulla dal prossimo”.
“Non vedi, però, com’è diverso il mio Heathcliff? Non senti anche tu la forza che emana da tutto il suo essere? C’è un magnetismo così irresistibile nei suoi occhi che rende impossibile il pensiero di non amarlo. Sì, un magnetismo animale, con in più, comprendimi, un’energia che gli viene dritta da un altro mondo”.
“Con tutta franchezza, Signore, quel furbo da tre cotte di Heathcliff è di tutt’altra pasta, assai più solida, rispetto al signorino Hindley e alla signorina Caterina”, sentenziò Giuseppe, cui in quella casa spettava per intero, ormai, Bibbia alla mano, il diritto del giudizio.
“Di tutt’altra natura, d’accordo. Se Heathcliff non è né un ragazzetto viziato come Hindley né una cocciuta monella capricciosa come Caterina, è chiaro, lo deve non a chi lo ha educato, ma alla sua stessa eccezionale natura”.
Si zittirono, per guardare Heathcliff che aveva chiuso gli occhi, a qualche metro dal camino, per terra con il capo in grembo a Caterina.
Sembrava raccolto in qualche parte inaccessibile di sé, simile al gatto nero acciambellato eppure stranamente vigile a pochi passi dal fuoco.

Massimo Morasso

[da LA VITA INTENSA I racconti di Vivien Leigh]

wuthering1.jpg


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