Il passato torna sempre.
E' questo che insegnano i libri di storia, anche se sono oramai un ricordo sopito nella memoria di anni perduti dietro uno squallido banco scolastico. E' a questo che la memoria e lo studio dovrebbero mirare, quando si decide di dedicare l'esistenza al miglioramento di noi stessi. E' questo che alcuni temono più della falce che sappiamo presto o tardi cadrà dal cielo privandoci di tutte le piccole certezze quotidiane. Il passato torna sempre. C'è chi lo evita, chi lo teme, chi lo sa affrontare, chi ne ride con disprezzo, chi lo ignora fino a quell'istante in cui sarà troppo tardi per tornare indietro. C'è chi alza le spalle nella convinzione di poter crescere anche senza imparare, quando invece decresce fino a quella retta orizzontale il cui limite ultimo è la dissolvenza eterna. C'è chi lo ammira al punto tale da impedire al proprio corpo di andare avanti, oramai perso nelle illusioni che quello che è passato non ritornerà e nella convinzione che i magici momenti svaniti sono il massimo a cui potrà mai giungere. C'è chi lo patisce, chi lo vorrebbe dimenticare, chi lo chiama amico e assolutore.
E poi c'è chi al passato dedica un libro.
Prendete una persona che vi ha segnato nel profondo, e confinatela in una pagina bianca. Prendete una persona che vi ha lasciato cicatrici indelebili, che non svaniranno come per incanto al sorgere della luna nuova. Prendete una persona che si colma talmente di boria per il solo essere stata, e iniziate a sillabarla. Lettera dopo lettera, frase dopo frase, le parole andranno a comporre versi che cadranno come incudini su quel passato che non si può e non si deve cancellare, su quel passato che torna sempre ma che ha avuto il solo fine di renderci quello che siamo adesso, e che quindi al suo comparire nuovamente non si troverà di fronte il medesimo carattere di qualche anno fa. Non guarderà negli occhi il piacere di un ricordo, ma il dolore di una sconfitta, il panico di un tempo perfetto che ha oramai cessato di esistere.

Ogni parola scritta su quelle pagine bianche, oramai divenute a colori grazie alla sofferenza e al sangue che trasudano, ogni parola avrà allo stesso tempo lo scopo di redimere e di accusare, di perdonare e di maledire, avrà lo scopo semplicemente di raccontare. Raccontare quello che è stato, raccontare ogni singola goccia di sofferenza svanita, raccontare la merda che. La merda che come un virus è dilagata e ha cercato di contaminare, la merda che come un morbo ha provato a rilassarsi su corpi e coscienze. La merda che è ovunque, in ciascuno di noi, anche quando non ce ne rendiamo conto e ci assolviamo dai nostri più intimi peccati. Ogni parola scritta su quelle pagine bianche avrà le fattezze di una poesia il cui destinatario è soltanto una sigla nelle sabbie del tempo perverso, una sigla che sigilla il mai più al ben più fragile caso. Ogni parola scritta su quelle pagine bianche non sarà altro che un modo per ricordarci ancora, e sempre, quello a cui siamo sopravvissuti, quello che ci ha resi più resistenti, quello che non possiamo ringraziare per tutti i marchi nella carne che ci accompagneranno per sempre.

Il passato torna sempre. E Chiara Daino l'ha attaccato al muro.