LIBRI - RECENSIONI
LA MERCA DI CHIARA DAINO, FARA, 2006
Se è vero che le parole continuano ad operare, anche nell’epoca del rumore mediatico e dell’esubero informativo-informatico, e se la letteratura ha ancora la capacità di modificare la visione del mondo che racconta, dopo aver letto La Merca, primo romanzo di Chiara Daino, bisognerebbe provare un sano senso di colpa. Perché La Merca non è soltanto un romanzo che racconta una storia coinvolgente con una lingua nuova, piena di ritmo, musicalità, e a tratti tendente alla prosa poetica, senza mai abbandonare la dimensione narrativa o cedere allo slang generazionale.
La Merca è anche, soprattutto, un romanzo su anoressia e bulimia, sui disturbi del comportamento alimentare (d.c.a.) e la vita (e la morte, spesso tragicamente prematura) delle persone che ne soffrono. E il senso di colpa bisogna provarlo perché su quest’argomento è facile per molti accettare una verità preconfezionata e comoda, e perché la società in cui viviamo e che abbiamo costruito preferisce ignorare o affrontare con ipocrisia questo problema che nasce ed è generato al suo interno, nelle sue più profonde dinamiche.
Uno degli obiettivi principali di chi ha scritto La Merca, del quale non è possibile non tenere conto, è quello di scardinare il meccanismo della vulgata che l’informazione popolare e i mezzi di comunicazione di massa hanno proposto nella descrizione di questo fenomeno, legandolo principalmente al mondo della moda (errore che anche la classe politica spesso commette). Una versione che non regge se si considera la storia di questa malattia, che ha colpito intellettuali e artisti come Kafka o Anne Sexton, diffusa tra sante e mistiche cristiane. Nel passato di Jenny., la protagonista del romanzo, (non a caso donna, come oltre il 95% degli affetti da anoressia e bulimia) c’è un rapporto conflittuale e privo di comunicazione con i genitori, una famiglia disgregata con assenza di punti di riferimento, una relazione sempre più complessa con il sesso maschile, segnata da amori, delusioni, ma anche da brutali violenze subite, sia fisiche che psicologiche. E nel suo presente ci sono sempre loro, gli amati o odiati uomini, tanti, che ne desiderano il corpo, che la cercano ossessivamente, che la abbandonano, che la tradiscono e vengono traditi. E c’è una clinica nel presente di Jenny, dove isolano dal mondo e sottopongono a torture psicologiche. Dalla descrizione di questo posto è facile capire il dannoso cinismo e l’insufficienza di un certo tipo di approccio medico nei confronti di anoressia e bulimia. Emerge anche tutta l’inadeguatezza umana che a volte contraddistingue chi dovrebbe curare questo male, e invece ne alimenta l’esistenza. Ed è evidente anche il legame forte che si crea tra le persone che vi si trovano dentro e condividono lo stesso problema. Solo tra loro possono capirsi veramente, sembra dirci La Merca. Anche la scienza dunque, in questo caso, percorre di frequente vicoli ciechi ed è specchio della società nella quale progredisce (progredisce, nonostante tutto, prima ancora c’era l’elettroshock come cura, apprendiamo dal romanzo).
Il merito maggiore di Chiara Daino, nel narrare questa realtà tragica e complicata, è quello di non abbandonarsi mai a pietismi o moralismi di sorta, ma di affrontarla a muso duro, con costante lucidità e molta tagliente ironia, con disincanto, e con l’obiettivo fisso sulla materia principale del romanzo. Non sfugge al lettore un dato troppo spesso taciuto quando si parla di d.c.a., a causa di un ricorrente e falso moralismo, ovvero la devastazione che avviene nella sfera sessuale di queste persone, un tormento che va dall’astinenza totale al masochismo erogeno. Viene alla luce prepotentemente una società nella quale il corpo femminile è troppo spesso mistificato, mercificato, sia nel mondo dello spettacolo che in quello del lavoro, ma anche tra le mura domestiche e nei rapporti quotidiani. L’anoressia e la bulimia (che spessissimo si alternano nello stesso soggetto) sono il prezzo che alcune ragazze pagano per questa deviazione che ci coinvolge tutti, ragazze che vedono stravolta la propria vita e il rapporto con questo corpo troppo spesso trattato come genere di consumo o come “cosa”, oggetto.
Jenny vive nel mondo reale, fuma migliaia di sigarette, beve cuba libre a fontanelle, ma il suo pensiero ha una velocità diversa, e diverso è il suo rapporto con la vita e con la morte, con il corpo e con la mente, e la sua storia passata non le dà tregua fino a quando “la rottura degli argini di una diga improvvisata” la farà morire. Niente lieto fine qui. Nel mondo de La Merca non ci troviamo tra gli adolescenti innamorati di Moccia (anche se nella testa di Jenny c’è di tutto, a venticinque anni, da Tiziano Ferro a Vasco Rossi, da Novalis a Garcia Lorca). Siamo tre metri sotto terra, non sopra il cielo, dove vanno a finire i corpi consumati delle vittime di questa strage vicina e silenziosa. E la lingua usata per sviscerare questa realtà è intrisa di rime, assonanze, torsioni, forzature, neologismi, contaminazioni, e fa de La Merca un esperimento letterario di valore, che non cede alla comodità del linguaggio semplice e piano, una scelta fatta propria da troppi nostrani narratori. La Merca è una storia che andava raccontata, è un pugno nello stomaco, forte e diretto, ma è anche poesia, come questa:
Rimetto la mia vita
in mani esperte
Mi rimetto in gioco
rimetterò alla perfezione
la maschera di sempre
continuo a rimettere
in ginocchio la mia vita
continuo a rimettere nel bagno
assassino e confessore
gli sbagli di un’eterna….
Fame del cuore
Amare Jenny non vuol dire desiderarla ma comprenderne ed accoglierne, profondamente, il dolore. E vuol dire fare qualcosa perché tutto questo dolore non si ripeta e non si alimenti. Chiara Daino ha fatto qualcosa: ha scritto La Merca, e ha scritto con la dovuta rabbia, per operare sulla realtà, con decisione e con stile. Noi possiamo cominciare leggendo.
Fonte:
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/03/02/chiara-daino-la-merca/
Adriano Padua