CORPI DI CARTA CHIARA |
Una bocca che si offre, dal palato ai denti, dalle labbra alla faringe, come macchina da guerra. Risonante cassa, macchina di risonanza. Nella pronunzia frontale. Rullo compressore del verbo, e parole a rincorrersi nel peso ferreo d’una velocità multiversa (lingua che scorre a multiple velocità salendo la corrente delle salive i suoi sali secreti); ingranaggio di sillabe in furia in espulsivo moto della deglutizione. È questa la fortezza verbale (irta purezza virale) di Daino, il velluto rovente ruvido di Daino, poesia armata contro se stessa (contro contro ogni inganno che il decoro della parola è in grado di operare) – anti/poesia in purezza strappata coi denti brano a brano, a bruciare il suo tempo: e centimetro su centimetro a conquistare spazi, a saturare ogni spazio, costi quel che costi, in cumuli d’anniluce. E se il costo è monta di marea se è il magma che travolge il discorso (fattosi carico del coacervo dei discorsi) nel diramarsi metastatico dei sensi del Senso, se è ribollìo se è lava che trascina le ispide arborescenze dal dire disseminate lungo i pendìi, se (per horror vacui, per angoscia del pieno) è danza inconcludibile sull’inabissamento, allora significa che qui è l’unico costo possibile. Forse, addirittura: che è il costo necessario.
(Tommaso Ottonieri, dalla Prefazione)
Chiara Daino, Virus 71
Prefazione di Tommaso Ottonieri
Cagliari, Aìsara Edizioni, 2010
All’Armata dei Drudi
Il letto
[tribute to The Hill by E. L. Masters,
Spoon River Anthology]
Dove sono Marco, Carlo, Simo,
Massi e Rudy,
l’ambiguo, l’ameba, il trucido,
l’elfo, il bugiardo?
Uno bruciò la chitarra,
uno si è sposato in chiesa,
uno è in cerca di una dose,
uno l’ho perso per strada,
uno restò chiuso nella torre navigando
per i suoi mari –
Tutti, tutti dormono, dormono,
dormono nel mio letto.
Dove sono Paolo, Ale, Richy, Giuse e Didi?
il gigante, il cinico, il vacuo, l’efebo, il poeta?
Tutti, tutti dormono nel mio letto.
Uno finì per marchiarmi a fuoco,
uno per cancellarmi i sogni,
uno dietro un vetro annerito,
uno col dar retta a suo padre, quando c’era quasi
uno girando cartine e città, in treno in volo in moto
ma fu ritratto nel piccolo corpo con Paolo con Ale,
e Richy
Tutti, tutti dormono, dormono, dormono
nel mio letto.
Dove sono il Matte e lo Sciama,
e quel puerile vecchio Capitano e il buon Barabba,
e quel demente di Bullìco che aveva conosciuto
la più grande cerchia parassita della Repubblica?
Tutti, tutti dormono nel mio letto.
Si ripresero, sensi cadaveri, dalla nebbia,
e purezze infrante dalla realtà,
e la mia parola orfana, lacrima –
Tutti, tutti dormono, dormono, dormono
nel mio letto.
Dov’è quella bambina saggia, Key
che giocò con la vita per tutti i Mille Anni,
fronteggiando la neve minuta a petto nudo,
bevendo, facendo segnali, senza curarsi di sé
né del diaccio, non del desco, né del dolore?
Eccola! Ciancia delle tante ferite di tanti anni fa,
di tante corse, in Vico dei Librai, dei tanti anni prima
di quello che azzurro le disse
una volta che tutto il mondo sembrava dormisse
Mastica e sputa
Mette i maschi in metro
Ai piedi, ai posti, al palo
Spinte di lombi in limbo
Trito di ghiande e glande
In riga! in posa in cerchio
Concio le pelli – passate
Addio e andate: e ancora
Ecatombe emotiva
Siete stati. nodi e nastri
Patiboli privati: vi lascio
Un bacio – uno per uno
Tra poco non vi chiamo
Amore – tronca le corde
[Silenzio! Dormo…]
Chiara Daino, Metalli Commedia
Pesaro, Thauma Edizioni, 2010
II
[Lo Canto Secondo principia con presunto post coito post sbornia tra lo Duca Alice e l’Auttore – per poi trattare delli profittatori e delli ruffiani; e svolgesi qui l’immane scontro tra li Metallari e li Arcadi, scontro che introduce li principi dell’Ostilnovo nell’epopea nomata De Bello Bucolico]
Al tornar dei sensi, del Duca Alice
labes di nivis sugai come succo?
Vaga, pur mi sentii: Dama felice…
Non il tempo di rifarci lo trucco
quand’ecco farsi noi presso – pinocchio:
«Frate pazzo mi segue per l’assùcco!»
tosto priega, gettatosi in ginocchio.
«Aiutate me mi, siate cortesi»
frignava quello, a mo’ di marmocchio.
«No! Non sei l’om puro che ti palesi»
disse lo Duca, in scrollar di testa
«scoperto t’ho, tuoi preghi son mal spesi,
Buffo Berto, t’attende bella festa
che Titano d’Otranto non si placa
avante a nulla! Nulla l’arresta!».
E qual frottolin ch’in braca si caca
tremava quel magerrimo omino
poi parole sbava come lumaca,
poi cerca palpar l’Alice divino
e allor riconosco il tosco tizio:
«Messer Maligni! Fronta’l tuo destino!
S’i potesse, capriccerei lo sfizio
di sbeffeggiar tuo cattivo gusto,
d’inculcar – io stessa – in tuo orifizio
longo palo, per amor dell’Augusto
Bene Che, duro, le vene mi scorre!
Mai hai reso grazie al sovrano giusto:
Ei memorò strage dall’alta torre!
Di voce Divin primato detiene!
Oh bieca zecca, nessun ti soccorre!
Sugghia – solo – lo fele di tue pene!
Oltre, tue grame, più non protestare!
Saggia lo stile: l’ira di quel Bene!
Cruda fin di quello guitto giullare
l’ebbra mia vista volea ver intera
ch’altrove l’Alice mi fè notare
carnaio: li Carcass, in tetra schiera,
sgravan l’orecchio dal pop simoniaco!
Cancrena di amanti non più impèra!
Chi molti cariò, qual miele maniaco,
l’oppio di radio per versi da stadio,
or è ridotto qual emofilìaco:
Metal Chirurghi sezionan con gladio
finché, finito lo spolpo, sia novo
dire per li “scheletri nell’armadio”…
Poi, per lo dir ch’i’odo, goduria provo
«Noi al pogo! Voi al rogo!» nel vento
sento – lo bhell coro dell’Ostilnovo
che lontano scampana gran fermento
et lo mio mastro mi turbina lesto
in grotta dove mi spiega l’intento:
«De Bello Bucòlico! Facciam presto
per dar man forte ai nostri fratelli!
Qui ci son arme, cavalli, et resto
per combatter li lirici balzelli!
Prepàrati per lo scuoiar di scroti!»
In sella a due draghi, tra azze e martelli
in basso, nella ressa, colsi: noti
brutti promotori del poetardo
sputar sentenze e dar di voti,
ma lesti parton Mustaine e Lombardo:
l’un decima’l tempo, l’altro i datati
poeti scote! Ogni bolso bardo,
nel rullo mortal, priega suoi penati
ma a nulla vale il pentirsi codardo:
li Type O Negative son arrivati!
Anneke, poi, col foco nello sguardo
li Theatre of Tragedy fomenta:
gothic metal contra gotha bastardo!
Nell’orda di pelli – come tormenta,
nostro ruotar di capelli concorde
in mille gran fruste ‘nver’ lor s’avventa.
Aulici nemici – li arde seicorde:
che Malmsteen già ritto nel suon distorto
a petto nudo cinghia sì lor sorde
becche, che quei conclusero nell’orto
ma Metallo – Nuovo Evo dotò
et lor fiato, ormai, è sfiato corto.
Poscia che l’ascia poetame potò
di qua di là, tutto parea pulito
ma l’occhio la picciol macchia notò
e guizza l’ombra di lui – l’impunito!
Che mi ricordo per quello vigliacco
quel ch’allo Ginnasio ho subìto
studiato e sudato! Or t’insacco
e di brutto! Francesco, maledetto!
Dal petto al retto – or ti dilacco!
Tu della critica il più perfetto?
Ronchione antologico, tue spade
di polemiche punte, tu – lo Retto
piaghi di ragade che cul abràde!
Al da sezzo, tiranno è la tua fine
la bella donna è sanza pietade!
Schiatta ignava, spermina rovine,
crepi teco criticastra famiglia!
Saggia bene queste mie quattro spine!».
Così m’avvento: di furia la figlia,
stacco – poi sputo – sui visceri inani
poltiglia – ei schizza – polpe vermiglia.
Vendicàti gli allievi italiani,
di lontan si silenzian i suoni
«deh, smise l’assolo il Satriani….»
dico al Duca con sgrano d’occhioni;
ma tosto Fripp fraseggia lo tappeto
del Re Cremisi che pompa tensioni,
sì le canto per dir d’esto forteto:
«non far lo sodomita, se scribente
non lavarti nel lirico secreto!
Non andar tra la poetica gente
che munge ti minge, stregghia ti cinghia!
Non viate – nello Gotha dolente
stacci Puoti orribilmente ringhia:
essamina tuo testo con disgusto;
giudica qual purista e t’avvinghia
per farti mal garante del buongusto!
Sprimi te stesso non quei ch’altro pande!
Non soccombere mai – a quest’angusto
scempio della natura tua, sii grande
anco tra’i gran tacchini che sol citano:
chi crede – flamme de Metalle spande
sulli paupulanti, quei che sol vìtano!»
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I canti di Metalli Commedia sono corredati da un ingente apparato di note che costituiscono parte integrante dell’opera. Per ragioni legate alla natura e alla struttura del blog, ho preferito non riprodurre quelle relative al testo qui presentato, anche e soprattutto per non appesantire la lettura sullo schermo.
Il post va letto in uno col successivo, un Quaderno che riproduce il saggio di Enzo Campi, “Dotazione-Denotazione-Detonazione“, già apparso in Poetarum Silva del 21 gennaio 2011.
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