LIBRI - RECENSIONI
LA MERCA DI CHIARA DAINO
Chi sono?
Dove sono!
Dove vanno.
Sottile il libro della Daino, come la protagonista, buco nero in una galassia di personaggi esangui che ha esaurito l’energia vitale e sta implodendo. Energia che attrae e respinge come un orrido che chiama al lancio di sé, dal volo allo schianto d’ossa che si sentono suonare,tinnanti gemiti rifiutati, le dita nelle orecchie per non sentire la catena e la palla del fantasma che agita nei movimenti felini, negli scatti d’ira, l’urlo muto di chi è nato a forza sbagliando il bersaglio della stella buona/bella che lo attendeva poco più in là, come se si potesse forzare una gemma a fiorire, un mandorlo a donare il suo profumo sotto la neve, senza distruggere l’universo intero.
Chi sono? Una domanda ambigua, come ambigua – ambivalente – bifronte è la lingua e con essa la vita. Non è Jenny a chiedersi chi sia, unica consapevole di sé, del suo valore, del suo stesso ex-sistere, del suo esserci, unica nell’affronto al mondo a dichiararne la sconfitta. Il suo stare è un’onta, onda che si rifrange frantumando gli scogli dell’assurdo – ab surdo vivere. E lei vive fra sordi che hanno smarrito il senso della musica degli astri; musicisti per-benisti, medici malati ammalianti, amiche che guariscono ri-nnegando, perdendo-si per sempre nell’omogeneizzatore che frantuma ogni assolutezza; sì, perché i malati sono loro, ciechi-sordo-muti, maiali nel trogolo che non la sfiora neppure sebbene ci si butti dentro gridando la vendetta della sua solitudine. La sua purezza neppure riesce a scalfire quelle scorze incallite , anime rugose dietro visi lisci. E lei continua a gridare l’assoluto, quell’assoluto che in un giorno le si fece chiaro dentro, e fu il suo male e la sua grazia: “dannato silenzio che duettava con la solitudine” . E poi, quel senso di colpa che non passa, che non può passare perché è la colpa di esistere, essere, esserci, qui ed ora unica in un mondo di omologhi-anonimi-asfittici e contenti.
Dove sono!
Ti aspetti una domanda, ma no: è un’esclamazione. Di nuovo ambigua, non è Jenny quella smarrita, lei no, lei fuma, tracanna alcool e vomita la vita, perché l’aria che ha intorno è più bruciata delle senza filtro. Un incendio ha devastato l’umanità, senza amore, perché gli uomini e le donne hanno s-venduto l’amore. Il mondo non sa dove sia, non sa cosa sia, non lo ri-conosce quando lo incontra.
Ma Jenny vuole A-more, ancora ancora ancora e poi non vuole quella vita morta che è l’unica che il mondo sa donarle. Jenny si uccide lentamente per vivere, perché è viva in un mondo di cadaveri senza occhi, orbite nere la osservano sullo sfondo nero stagliarsi come un angelo dalle ali recise.
Sì, perché il D.c.a. è un angelo di luce in un mondo di ombre ricoperte di lardo-burro, corazze per scivolare via, per rendere vana la presa allo sguardo inquisitore, è un angelo senz’ali che grida con labbra di fuoco “ad una generazione che ha tutto tranne il necessario”.
Dove vanno.
Questa volta è chiaro. Nessuna ambiguità, la terza persona plurale dichiara il distacco di Jenny dal fiume di gente in-differente, sì, perché è nel cuore la differenza. Dentro. Nell’anima si coglie Jenny, ed è per questo che si spoglia della carne, come di una coltre spessa che impedisce di vederla, e più si spoglia, e di-mostra l’anima, più l’accusa giunge a volerla stordita, piegata, costretta nel cerchio della norma, a dirle come dovrebbe essere e non ad abbracciare quella che è .
Lògos sàrx egèneto, la parola si fa carne, fragilità, orlo mortale, non lardo, non molliccia copertura, per questo Jenny si spoglia della carne, perché lo spirito possa gridare più forte. Ma inutilmente . Nessuno la riconosce .
Perché nessuno ormai sa dire/dare una parola che sia, che re-sista al tempo che non basta, al tempo che per Jenny non c’è, non esiste. E muore Jenny, tradita da chi aveva rinunciato all’assoluto per mescolarsi alla folla dei de-relitti umani. Sara, è diventata come gli altri, fango che non sporca la nascita alla rosa bianca, e “la sua tranquillità emanava una luce inquietante: era davvero cresciuta e matura a tal punto da non esternare?… Silenzio. Quello che Jenny aspettava: nessun’altra anima viva. Unica compagnia: sangue furente, furioso. Rottura degli argini di una diga improvvisata: Jenny rovesciò il tavolo, e l’ennesimo turbine di acqua pulita su quella sporca dell’esistenza”.
Muore viva Jenny, ma il suo è un grido di condanna che nessuno ascolta, neppure noi che leggiamo, che dimentichiamo l’assoluto celato negli occhi di chi ci viene in-contro.
Jenny voleva la vita, l’amore, l’essenza pura dell’esserci, in un mondo che si abitua al sole che sorge e non lo vede più.
Jenny si affida “ragionando ragionando, istintivando istintivando a Dio, supremo amore, luce senza intermittenza unico DO SENZA UT.”
Fonte:
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/03/17/la-merca-vista-da-elena-f-ricciardi/
Elena Ricciardi